Valore probatorio della perizia grafica
Cass. 1 marzo 2002 n. 3009
opina che il giudice avrà facoltà di intervenire con il suo motivato giudizio al riguardo anche desunto da
fattori diversi dalla perizia grafica.
Conf., Trib. Milano 9 aprile 1998:
«Avendo le indagini grafiche limitato valore probatorio perché prive del carattere di compiutezza e di assoluta certezza in quanto
fondate su tecniche interpretative diverse e contrastanti, è indispensabile riferirsi a tutti gli altri elementi di prova al fine
di desumere le complessive ragioni del convincimento giudiziale».
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Cass., sez. lav., 20 maggio 2004 n. 9631
«Nel procedimento di verificazione della scrittura privata, il giudice del merito, ancorché abbia
disposto una consulenza grafica sull'autografia d'una scrittura disconosciuta, ha il potere - dovere di formare il proprio
convincimento sulla base d'ogni altro elemento di prova obiettivamente conferente, comprese le risultanze della prova testimoniale, senza
essere vincolato ad alcuna graduatoria fra le varie fonti di accertamento della verità . . . In relazione a questo particolare
elemento probatorio è da osservarsi che, anche se ogni umano aspetto della persona è oggettivamente irripetibile (e di alcuni - come le
impronte digitali, i lineamenti del volto, le vibrazioni della voce, e la stessa iride - esaminati e differenziati da sofisticati strumenti,
l'attuale tecnologia può affermare - o negare - con certezza l'appartenenza ad una specifica persona), ed è tale anche la forma
della scrittura (e questa irripetibilità ne giustifica la comparazione), tuttavia la verifica dell'irripetibilità di questo
particolare aspetto, fondata sulla - pur pregevole - umana valutazione recata da una consulenza grafologica, inevitabilmente affidata ad
elementi (svolazzi, pressioni, curve, lunghezze, altezze) allo stato non matematicamente ponderabili, assume, oggettivamente, un rilievo
probatorio di ben limitata consistenza».
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Cass. 28 aprile 2005 n. 8881
«In tema di verifica dell’autenticità della scrittura privata, la limitata consistenza probatoria della
consulenza grafologica, non suscettiva di conclusioni obiettivamente ed assolutamente certe, esige non solo che il giudice fornisca
un’adeguata giustificazione del proprio convincimento in ordine alla condivisibilità delle conclusioni raggiunte dal consulente
(giustificazione cui è tenuto con riguardo ad ogni genere di consulenza, le cui conclusioni condivida o disattenda), ma anche che
egli valuti l’autenticità della sottoscrizione dell’atto, eventualmente ritenuta dalla consulenza, anche in correlazione a tutti
gli elementi concreti sottoposti al suo esame. Per le stesse ragioni, la consulenza grafologica non costituisce un mezzo imprescindibile per
la verifica dell’autenticità della sottoscrizione, potendo il giudice evitare di fare ricorso ad essa ove tale accertamento possa essere
effettuato sulla base degli elementi acquisiti o mediante l’espletamento di altri mezzi istruttori». Non dissimilmente si
esprime, "ratione materiae", la S.C. penale: «In tema di falsità, allo scopo di accertare la sussistenza dell’elemento oggettivo, non può
ritenersi sempre indispensabile l’espletamento della perizia grafica, la quale peraltro, ha valore solo d’indizio. Invero, per il principio
della libertà della prova e del libero convincimento del giudice, la certezza della falsità del titolo può essere desunta anche da altri
elementi (fattispecie nella quale il giudice di merito ha ritenuto superflua l’indagine peritale, ricavando la prova della falsità del
documento e della responsabilità dell’imputato dal disconoscimento della firma da parte di colui che appariva come l’emittente, dalla
genuinità dell’intestazione del titolo a favore dell’imputato e dall’autenticità della girata da costui apposta, dalla consegna del
titolo a persona creditrice dell’imputato. La S.C. rilevando che, in sede di ricorso, l’imputato, lamentando il mancato esperimento della
perizia grafologica, aveva semplicemente tentato di rielaborare il fatto attraverso una non consentita rilettura degli atti, ha rigettato
il gravame)».
Sul punto, si leggano ancora Cass. 17 dicembre 1999 n. 14227 ed id., 6 aprile 1981, n. 1940, Cass.
pen. 20 gennaio 2003 n. 12839, ed id., 23 ottobre 1990. |
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